Dizionario
della
Maria
Donati
Maria Giuliana Giunchi è nata a Rimini, il 16 aprile del 1928. Moglie del dottor Aulo Donati, è nota a tutti come “la Maria Donati”. Grazie al suo temperamento allegro ed alla sua capacità di comunicare, si è sempre divertita ad utilizzare una serie inesauribile di termini e di espressioni, coniati fin dall’infanzia con la sorella Lalla, che i figli hanno creduto doveroso rendere pubblici. Parte dei nominativi citati sono stati modificati per non renderli riconoscibili.

Hanno redatto il presente dizionario Daniela, Daniele, Michele, Grazia e la stessa Maria che, per non essere da meno, ha cercato di inventare nuovi lemmi per l’occasione. Non ce n’era bisogno, ancora ne mancano.

Panini
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Definizioni e Lemmi

Espressioni Tipiche

Personaggi e Fornitori

Frasi famose e adottate

 

Definizioni e Lemmi

 

Antipatico come la merda nel letto: il non plus ultra dell’antipatia. Peggiorativo di: "La spuda s'un sass viv".

Appellativi politici: Comunista sfegatato. Peloso di un fascista. Il primo è assai noto e diffuso, il secondo trae origine dall’esperienza diretta della Maria adolescente che fra i suoi primi amori conobbe un giovane avanguardista alquanto dotato di barba e capelli. Con l’innata disinvoltura linguistica che la contraddistingue, detto appellativo, negli anni è stato molto utilizzato per definire le persone irsute, piuttosto che per mettere all’indice i nostalgici del Duce. Guardando le foto del compleanno del nipotino: “Giovanni, te la fai o no sta morosina? Guarda questa com’è carina! Anche quella non è male. Questa no eh? Non vedi che è una pelosa fascista?”

Badurlarsi: perdere del tempo con attività insignificanti. “Michele, cosa ti stai a badurlare con quel cellulare che c’è da portare fuori l’immondizia?”

Bambini: figli, nipoti, amici dei figli e dei nipoti. Indipendentemente dal fatto che i figli possano anche essere diventati nonni.

Belfagor levati la maschera: qualifica di una persona estremamente brutta. “Dopo la messa, la Pina mi ha presentato sua nuora; Belfagor levati la maschera!”. S’intende come assiomatico che tutte le nuore di tutti i figli del mondo siano brutte ad eccezione delle proprie.

Bilino: organo genitale maschile.

Braghiera: persona, generalmente di sesso femminile, che vuol tenere tutto sotto controllo, tipo: azdora. “Alla messa c’era quella braghiera della Pina Cavalli che ha fatto tutte le letture, le preghiere e i canti, ma don Romeo si è stufato e gliene ha dette quattro!”

Cancellone: cancello grande di casa. Entrata secondaria, ma primaria nella realtà.

Cassone con le erbe (dal latino “Casso cum erbis”): ragazza graziosa ma insignificante. Derivato - incassonirsi: perdere un'iniziale avvenenza per assumere fattezze più grossolane.

Ciaffo: oggetto sostanzialmente inutile che "gira per casa" da un posto all'altro. Normalmente viene vinto in una pesca parrocchiale e lì si spera che torni. "Paolino, quando fate la festa nella tua nuova parrocchia, così ti rifilo tutti quei ciaffi che ho vinto l'anno scorso?"

Cioncio: simpaticamente sporcaccione. Importato dagli anni romani della sorella Lalla. “Tonino! Cioncio! Cosa racconti le barzellette sporche ai bambini?”

Culo di neve: (tradiz. riminese) indica una grande nevicata. La mattina del 6 gennaio 1967: “Bambini venite alla finestra! C’è un culo di neve!”

Dumduri: persona flemmatica che si attiva lentamente (come il marito della Befanina)

Fa paura alla Veronica: dicesi di persona di una bruttezza raccapricciante.

Fradicio: rafforzativo generico, molto utilizzato.

Galaverna: freddissimo. “Oggi è una galaverna che è meglio chiudersi in casa”.

Gatto rosso: persona che si aggira furtivamente attorno al frigorifero nelle ore notturne o comunque quando la cucina non è presidiata, cercando di sottrarre parti di cibo in modo astuto affinché gli altri non si accorgano della diminuzione dello stesso. "Ho notato che quella forma di pecorino che avevo nascosto in mezzo all'insalata è dimagrita notevolmente, sarà stato quel gatto rosso di Pussi". "Ascanio sei stato tu quel gatto rosso che ha mangiato tutta la salsiccia di fegato che il babbo ha portato a casa da Assisi?".

Gipso: persona che sulla base di criteri molteplici e non ben precisabili viene considerata non adeguata o trasandata.

Gistmi: pugnettine, scuse varie. “È possibile che ogni volta che ti chiedo di andare dalla Befanina fai tutti ‘sti gistmi?”

Grassa sbragata: persona in evidente sovrappeso. Contrario di secca ribita. “Graziettin, mettiti un po’ a dieta, sei grassa sbragata, guarda Palin come è bello elegante!”.

Grinzo: indica un soggetto definito dalla sua magrezza in modo negativo, in quanto privo di rotondità fisica, ma anche umana; praticamente un grinzo. “Ilaria, non stare a sentire quel grinzo smadoscato”, oppure “Samuele, ancora non ti sei fatto la morosa? Volevo consigliarti la mia vicina di casa, ma si è messa con un grinzo!”.

-izzo: suffisso generico volto a sottrarre dignità a nomi o aggettivi. Es. Uomo, omizzo; morosa, morosizza; maglia, maglizza e cosí via, fino a Gipso, Gipsizzo o, esagerando, Grinzo, Grinzizzo.

Ignorante: qualità attribuita ad una serie di oggetti di difficile utilizzo. “Quella bottiglia è molto ignorante ad aprirsi, i biscotti Osvego poi, sono ignorantissimi; non parliamo dei CD, fortuna che c’è Ascanio che con quelle dita sottili apre di tutto!”.

Ingianghito: capo di vestiario che si è “ritirato”. “Quella lavatrice non va più come prima, guarda quel maglione com’è tutto ingianghito, mi tocca chiamare Armando”

Invornito: (altra espressione trad. riminese) tonto, rimbambito, praticamente invornito.

-a stuffo: rafforzativo: Tipico: Invornito a stuffo.

La cucina ardente: equivale a “prendere fischi per fiaschi”. Importata dalla Maria dopo la visione di una commedia nella quale l’espressione “la cugina assente” era stata male interpretata come, appunto, “la cucina ardente”. Lei ci ride ancora, gli altri no, pazienza.

Labaziro: dicesi di persona impegnata in molteplici attività dal carattere evanescente, dando la netta impressione di non combinare alcunché. In genere ispira scarso senso dell’onestà.

Magazzeno: supermercato, dal Margherita alle Befane.

Materia: contrazione del romagnolo “matteria”. Stranezza. “Pussino, fai poche materie! Perché come io t’ho fatto, io ti disfaccio!”. Dubbio etimologico: potrebbe avere affinità col detto: “la materia vuole il suo sfogo”.

Mattarullo: non sempre a piombo, ma dipende dalle occasioni e dal contesto. “Palìn è sacro, ma quando va in bici è un po’ mattarullo”.

Mazalga: ambiente soverchiamente disordinato dove è impossibile trovare ciò che si cerca. “Pussi, vai a prendere due sedie nella cameretta sul garage, ormai non si riesce a trovare più niente in quella mazalga!”

Medaglione antico: cassone con le erbe dai tratti classicheggianti, versione raffinata.

Menta piperita: di colei che ha una lingua che taglia e cuce.

Morto/Morta: rafforzativo. Cucinando le canocchie, una si ribella e le morde un dito: “Paletta nana! Questa è viva morta!”

Non plus ultra: il massimo. Dal latino… usatissimo.

Occ' ad sipa: attribuita dalla sorella Lalla ad una persona con occhi da pesce lesso, color verdastro. Sipa = seppia.

Pachessa: persona, generalmente di sesso femminile, che pontifica su tutto e tutti.

Pandora: versione femminile di Dumduri.

Patachetti: che non arriva neanche ad essere pataca! “Grazia, non vorrai mica uscire con quel patachetti di Emanuele!”.

Pianosi: rumore fatto col naso da chi non ha a disposzione il relativo fazzoletto.

Piansicla del Signore: donna che ha una visione pessimistica della vita e anche nei rari momenti spensierati vede sempre scurirsi l'orizzonte.

Pitera: persona, generalmente di sesso femminile, che s’intromette con fare petulante in questioni non di sua pertinenza.

Plita smessa: plita smessa.

Procaga: (dialettale: pruchéga) colui (più spesso colei) che emette sentenze su tutto e tutti. Mentre la pachessa pontifica con modi saccenti, ma bonari, la procaga lo fa in modo più stizzito e antipatico. Da non sottovalutare il lato estetico: una pachessa longilinea verrà facilmente convertita in procaga, così una procaga sovrappeso non di rado si trasformerà in pachessa.

Pudmo: individuo dai comportamenti perennemente indecisi ed esageratamente maniacali, che creano intralcio alla vita propria e altrui. Sostantivo: pudmizia

Putanfrona: dicesi di persona furba e simpaticamente malandrina, ma anche di liberi costumi.

Quando: usato al posto di quanto. Es. Lorenzo, che bella maglia! Quando costa?

Quanto: usato al posto di quando. Es: Grazia, quanto torni a casa da Padova?

-e basta: suffisso certificativo di una frase. Esempio, “Michele, non è vero che inverto sempre quando con quanto, sei ignorante e basta!”

Rassaiato: accanito, incontenibile, travolgente, sfrenato. Usato anche: “rassaiato come un pidocchio”, cioè cocciuto, pertinace. Dialettale: “un ha oss’.

Sacro: sacerdote, ministro di Dio, uomo dedito al Signore. La parola spesso viene pronunciata alla napoletana con la zeta morbida al posto della esse. Concetta: “Signora, lei ai suoi figli vuole bene a tutti, ma a Paolo un po’ di più perché è zacro”.

Sbucciata: colei che, dopo un’adolescenza nella quale si era distinta per la sua bruttezza ora, diventata donna, ha assunto un aspetto financo affascinante. “Ilaria, quella tua amica che faceva paura alla Veronica, si è sbucciata: l’ha trovato il moroso?”

Scavezzi, cinciangoli, sframbagli: avanzi di cibo nel piatto di portata. Le origini di queste tre definizioni sono variegate e non c’entrano niente col cibo, ma poi è in quel contesto che principalmente la Maria le utilizza. “Non vorrai lasciare lì quei due scavezzi, dai finiscili altrimenti quando torna Pussi se li mangia per merenda”. Scavezzo, pare evidente che si riferisca a qualcosa che non ha più capo. I cinciangoli sono associati agli zebedei e gli sframbagli sono avanzi in genere, anche di piante (rami staccati). Tutte e tre le definizioni sono sostituite dalla Maria con: “quelle due robe”.

Scaramazzo: chiasso. Tradotto dal vernacolo: scaramàzz. “Bambini, cos’è questo scaramazzo?”. La Maria, prima dei 50 anni non ha mai usato parolacce. Dopo, condizionata dai figli, si è adeguata: “Bambini, cos’è ‘sto casino?”.

Scema dura: scema in modo irrecuperabile, ma indica anche testarda e sorda ad ogni sforzo intellettivo.

Sciotté: parlare da solo, sottovoce, da arrabbiati.

Secca ribita: persona dalla magrezza evidente. Contrario di grassa sbragata. “Palin, mangia un po’ di più, sei secco ribito, guarda la Grazia come sta bene!”.

Sframblato: dicesi di una preparazione culinaria che non è riuscita con la forma desiderata. “La torta che ho fatto per la signora Piparoncini, mi è venuta tutta sframblata, vorrà dire che la darò alla signora Cavalieri (tanto quella mangerebbe anche uno stronzo caramellato)”

Sfunizzo: grande movimento di persone che si agitano affannosamente, ma oramai è usato come sinonimo di confusione; nonostante la degenerazione degli usi e dei costumi non è mai stata sostituita dalla parola ‘casino’. “Daniele, quando ti decidi a venire a prendere quella legna che ti ho messo da parte? Non ne posso più di quello sfunizzo nel giardino.”. “Michele vedi di convincere tu tuo fratello, è una vita che glielo dico, oramai con questa legna è una sinagoga che non la si fornisce più

Sfurgatare: manovrare senza costrutto. “Michele, cosa stai a sfurgatare in cucina, che poi mi fai quei cibi piccanti che sai che non li mangio…”. (dopo due ore) “Michelino, però non erano male quelle polpettine che abbiamo mangiato, me le insegni (“mi dai la ricetta”, ndt) che le faccio anch’io a quei bambini?”.

Sgunflato: bagnato. Tradotto dal vernacolo: sgunfled. Quando si cade vestiti nell’acqua la parola bagnato non rende l’idea, mentre sgunflato mostra tutto l’appesantimento patito ed il gocciolìo conseguente.

Slapazzonato: mangiato con gusto e avidità. Cibo trangugiato con voluttà e solerzia. “Paolino, fai presto a mangiare quella minestra altrimenti l’arrosto finisce. Pussi se n’è già slapazzonato una metà”. “Ho fatto una pizza per il compleanno dei gemelli, non faccio per dire, ma se la sono slapazzonata!”

Smadoscato: aggettivo, sinonimo di esagerato, ma ancora di più. “Bernacca dice che farà un freddo smadoscato.”. “Ho spazzato tutte le foglie della strada e mi è venuta una fame smadoscata”.

Sparnazzato: disordinato. “Palìn, sei venuto in bici per caso? Sei tutto sparnazzato! Se non fossi sacro, mi verrebbe da dire che sembri quello che ha dato uno schiaffo al Signore”.

Spolicrato: schizzinoso. Tradotto dal vernacolo: spulicred . “Il mio Palìn è sacro, ma ogni tanto fa lo spolicrato”.

Squasmismi: manifestazioni di approvazione. “Mia nipote è molto brava nel suo lavoro, tutti quelli che mi parlano di lei fanno un sacco di squasmismi”. Difficile stabilirne l’origine. Il signor Google segnala un blog dove una signora Roberta dà lo stesso significato alla parola squasmi.

Stronzo caramellato: ripugnante, però mascherato a sufficienza da ingannare gli ingordi.

Strunzlito: innervosito e chiuso in se stesso con toni di antipatia, tipico di chi “tiene il muso”. “Oggi Palìn è tutto strunzlito perché in parrocchia devono averlo fatto arrabbiare”. “Grazia, se devi venire giù da Padova per fare la strunzlita è meglio che te ne torni su e ci vediamo quando ti è passata”.

Suora smessa: ragazza che si acconcia, si abbiglia e si atteggia ispirandosi a modalità monacali.

Surtù: soprabito. Francesismo? Mah. “Graziettin, non uscire senza niente che è freschino, mettiti un surtù”.

Travantoni: molto. “Butta giù la pasta che l'acqua bolle travantoni”. Dialogo in redazione (famiglia). Daniele: “Mamma, se devo metterlo nel dizionario, mi spieghi cosa significa travantoni?” Maria: “Dunque, vediamo come si potrebbe dire… travantoni, no?”.

Trumbunaza: (trombonaccia) agg. Qualificativo, dispregiativo. Dicasi di persona di sesso femminile fortemente obesa e doppiamente antipatica. Tratta da un episodio del babbo della Maria, riferito ad una cliente di taglia extra large estremamente pignola, che con la pretesa ingiustificata di contestare le misure del frumento conferito, gli fece perdere la pazienza al punto tale di fargli gridare: “Nu fat più veda, trumbunaza de caz!”.

Vigliacca!: elegante, ma un po’ vistosa. Usato solo con l’esclamativo. “Ho visto la Contini a messa. Vigliacca! Tutta abbronzata e con quelle labbra rosse.”

Zaplo: (con la zeta dura) accenno al pianto. Meglio, l’attimo che precede l’inizio del pianto, riconosciuto per il repentino sporgersi del labbro inferiore. Quando nei bimbi appare il zaplo, questo viene accolto da parte dei grandi con entusiasmo pari alla visione dell’arcobaleno. (Maria, entusiasta) “Guarda che zaplooo!”, (poi quando inizia il dulo) “Poverino, piange!”.

Zipito: (con la zeta dura) ristretto, compresso, stipato. “Eravamo tutti zipiti in quell’ascensore”, oppure “La torta che ho fatto per la signora Piparoncini, mi è venuta tutta zipita, vorrà dire che la darò alla signora Cavalieri (tanto quella mangerebbe anche uno stronzo caramellato)”. Il termine è di uso antico, sicuramente da molto prima dell’invenzione dei computer, ne consegue che è stata istituita una commissione ad hoc che indaghi sul rapporto esistente fra zipito e zippato (file compresso).

 

Espressioni tipiche

   

500 col resto: dicesi di femmina il cui abbigliamento induce a ritenerla dedita al mestiere più antico del mondo, ma oramai nelle condizioni di accontentarsi della misera paga di 500 lire, con l’aggravante di non meritarle appieno, sì da rassegnarsi a dover riconoscere una quota di resto all’avventore.

A far corti discorsi: “per farla breve”, “cioè”, “riassumendo”, “in sintesi”, “detto in due parole”.

A sud, Rosa: letteralmente “mi fai sudare, Rosa”, indica una condizione di disagio e di affaticamento dovuta ad una situazione particolarmente gravosa. Esempio: “Avendo cambiato lavoro, d’ora in poi mi devo sobbarcare ogni giorno 100 km di trasferte. A sud, Rosa!”. Resta incerta l’origine dell’espressione, pare certo dover escludere l’indicazione geografica riservata ad una passante di nome Rosa diretta a Riccione.

Aloque contributo pelique: frase convenzionale di avvio alla conversazione, soprattutto telefonica, fra la Maria e la sorella Lalla. Il significato? Mistero assoluto, anche se l’inizio della telefonata con “Aloque” ricorda l’“Hallo” degli americani, conosciuti in giovane età dalle due sorelle.

Andava che pelava: ad una velocità folle. "Mi ha chiamato una cliente di Aulo tutta spaventata: l'ha visto in bicicletta che andava che pelava!". Utilizzato anche per il freddo: "Sono uscita oggi pomeriggio con un freddo che pelava, non c'era neanche quello che ha perso la berretta".

Butùn daventi, butùn didré: trattamento signorile nei modi e nel vestire. “Ero andata con Aulo ad una festa dei Medici cattolici: «butùn daventi e butùn di dré», trattata come una principessa”.

Chi t’ha castrato in quel modo?: rivolta ai figli ad ogni taglio di capelli non effettuato sotto la sua giurisdizione.

Del rest la mi fiola l'ha dett un pez ad messa: utilizzata per indicare una scusa che non regge. L'episodio accadde ai tempi della mamma Titti (o Tittolotta come la chiamavano le sorelle Giunchi). Una professoressa molto noiosa catechizzava la classe sulle disposizioni da osservare, ripetendo insistentemente gli stessi concetti. Al colmo della pazienza una ragazzina seduta al primo banco, quasi incosciamente, udì se stessa pronunciare ad alta voce la parola: "Amen!". Offesa nella sua autorità, l'insegnante costrinse la mamma a recarsi dal preside. All'ascolto dell'imputazione la signora si sentì in dovere di scusare la figlia dicendo: "Del rest la mi fiola l'ha dett un pez ad messa!". 

Diciamo il Rosario?: il rosario serale della Maria è occasione unica per fare il punto degli impegni della giornata. “Ave Maria, gratia plena - hai nascosto la macchina? - Dominus tecum, benedicta tu in mulieribus - hai ritirato la posta? - et benedictus fructus ventris tui Jesus - Hai chiuso il cancellone?” e via dicendo fino all’Amen.

E geva ben Scurzeina: i matt i n'è tott a Imola: espressione tipica riminese. Quando Imola era la sede del manicomio di competenza territoriale, chi aveva a che fare con qualcuno dalle rotelle fuori posto, non mancava di sottolineare la citazione... Riguardo al nomignolo dell'autore del detto, escludendo la possibilità che sia un nome di battesimo, si potrebbe pensare ad un suo problema riguardo alla difficoltà a convivere con la pasta e fagioli.

È la vita, diceva Boccaccio: espressione di rassegnazione attribuita a un noto soggetto riminese di cui si ignorano le caratteristiche, pur intuibili.

È meglio stare zitti!: espressione generica di stupore. Pronunciata sovente, anche quando sarebbe meglio, appunto, stare zitti.

È ora di smetterla di chiamarlo Pussi, si chiama Gabriele!: frase pronunciata con tono di rimprovero all'indirizzo di un amico che al telefono aveva chiesto: “c’è Pussi?”; si narra che la Maria dopo la rampogna di cui sopra, scostata la cornetta dalla bocca, urlò in direzione delle scale: “Pussi, vieni giù che ti vogliono al telefono!” (dalla testimonianza dell’interlocutore).

È una sinagoga che non la si fornisce più: (citazione di origine sconosciuta): indica una situazione di estrema confusione che si prolunga nel tempo rispetto alla quale non si intravvede una soluzione.

Eccellenza, faccia come me, preghi!: rivolto al vescovo Locatelli che le confidava la difficoltà nel prendere sonno. La risposta piccata del presule lasciò basita la Maria, convinta di avere dispensato un consiglio adeguato.

Falsa come la Linda Bernardi: dicesi di persona avvezza a travisare volutamente la realtà.

Finisce come quel caro bambinello: dicesi di narrazione priva di conclusione efficace e convincente, sinonimo di “come quel valzer”. Originaria dal più famoso sermone natalizio diffuso in famiglia dalla zia Benedetta: “Quel bambin che voi vedete, coricato sulla paglia, senza pane e senza maglia, senza un poco di calor… se potessi io vederlo gli darei il mio mantello, ma quel caro bambinello… Così sia”. La zia introduceva l’Amen italiano, allo stesso modo dello smemorato bambino che, a suo tempo, decise di concludere così il proprio sermone, ingannato dalla propria memoria, ma proprio per questo incuneandosi ad imperituro ricordo fra i posteri.

Gli manca un venerdì: non è a piombo. Irrimediabile, di conseguenza più grave di mattarullo, che al contrario, può indicare un comportamento occasionale.

Il non plus ultra dell'eleganza: attributo di capi o accessori d'abbigliamento acquistati a prezzi modici. L’espressione viene utilizzata per tacitare i dubbi espressi dal soggetto costretto a indossarli (Esempio: “Grazia, stai zitta, è il non plus ultra dell’eleganza!”)

La c'ha fatto bene questa trapanazione: indica un'operazione ben riuscita. Ha origine dal commento fatto da un vicino di casa dopo una delicatissima operazione al capo subito dallo zio Genio (Eugenio). Viene utilizzata in diverse situazioni, anche non necessariamente di tipo sanitario. "A mio nipoter Ascanio, dopo tanti ritardi a scuola, gli hanno messo una nota sul registro, ora finalmente arriva sempre puntuale... la c'ha fatto bene questa trapanazione!". 

La rosa e l'argomento: tormentone, frase o situazione che ricorre e si ripresenta di continuo (pare originata dall’omelia di un prete disgraziatamente alticcio).

Lo sbarco in Lombardia. No comment.

Mamma itta fiera ha comprato un ciondolotto che faceva: "Itta [*] barò [**], itta barò". E la gallina: "Put [*] paso [**], put paso": filastrocca insegnata dalla Maria e trasmessa ripetutamente a tutti i bambini. Modalità recitativa: [*] premendo le dita sulla guancia rigonfia, [**] scorrendo le dita sulle labbra.

Maria, ti voglio bene!: la più famosa frase del marito Aulo. Equivale a dire, basta così, smettila. La usano tutti, La Maria coi figli, gli stessi figli con la madre, ma anche con le rispettive mogli. Fino alle nuore coi mariti. Insomma in casa Donati nessuno dice basta, ma è un coro di “Maria, ti voglio bene”. 

Me am cièm ciesa: (traduzione: io mi chiamo chiesa) io non c’entro niente, mi chiamo fuori, sono muto come un pesce.

Molto movimento di mani e poco di bocca: ristorante estremamente raffinato, non adatto a gente semplice che bada al sodo. "L'Agnese è andata ad uno di quei matrimoni del milanese in un posto elegante. L'ho sentita al telefono e le ho chiesto se aveva mangiato bene, mi ha risposto: <Cosa vuoi mamma... molto movimento di mani e poco di bocca!>".

Morissi qui!: sostituisce “lo giuro”. La Maria ne pronuncia uno all’ora. In un anno 365 per 24 (anche nel sonno). Calcolando che avrà iniziato a 6 anni, senza tralasciare i bisestili… Non ci credete? Morissi qui!

Non c'e nemmeno quello che ha perso la berretta: situazione di desolazione e assenza di qualsiasi tipo di presenza umana. “Mamma mia oggi al mercato tirava un vento che non c’era neanche quello che ha perso la berretta!”

Non gli si può dire niente: si riferisce ad una persona particolarmente suscettibile. Un giorno il marito Aulo disse ad un conoscente che sua moglie era una donna di facili costumi, aggiungendo altri commenti della stessa sfera semantica... l'interessato come naturale andò su tutte le furie. La Maria raccontò così ai figli l'accaduto: "Il signor Raffaele è nervosissimo, il babbo gli ha detto una cosa da niente e lui se l'è presa da morire. Oh, non gli si può dire niente!".

Occhi alla Pilson”: occhi ad arco discendete ai lati, come a formare due parentesi.

Patarlaca!: esclamazione di stupore. Non inganni l’assonanza con l’insulto romagnolo per eccellenza, anche se occorre riconoscere che studi dialettali approfonditi inducono a pensare che “patarlàca” rappresenti in realtà una mascheratura di “pataca”, studiata per rendere meno volgare l’esclamazione. Si può dire che ricordi il “mizziga” siciliano, anch’esso tratto dal ben più famoso “mi…hia”.

Più presso a te: deformazione dell'inno liturgico Qui presso a te. "Che peccato che a messa non c'era Daniele, se no cantavamo Più presso a te!"

Pulire in francese: provvedere alle faccende domestiche in modo approssimativo. L’origine è ancora misteriosa, inoltre l’Agnese segnala un simile ‘darci alla Brosualda’,  del quale è assai difficile stabilirne l’etimologia. Potrebbe essere banalmente il nome proprio di una collaboratrice domestica sarda: Alda Brosu. O forse, su suggerimento del signor Google, un richiamo a Mr. Charles Brosuald citato sul Times del 26/02/1895. Se qualcuno avesse notizie in merito non si faccia scrupolo a farle pervenire, la qual cosa vale per tutti i detti del presente dizionario.

Quando decide, è uno scritto: è una persona irremovibile e non torna sulle sue decisioni.

Quando é pulito é come un dito!: versione casareccia di "omnia munda mundis". Si basa su ricordi d'infanzia, di quando l'attuale cucina della casa di via Tripoli, in realtà era un bagno tutto piastrellato a mosaico con brillanti tessere turchese. In posizione centrale si apriva pericolosamente la voragine della "vasca", probabilmente concepita in epoca tardo medioevale come trabocchetto e poi adattata ad alloggio per pesci rossi. In casa Donati ci si faceva il bagno il sabato sera. La Maria, perennemente incinta, si prodigava ad immergere la prole e di asciugarla velocemente. Poiché l'uso degli asciugamani subiva un'alta rotazione, poteva capitare che lo stesso adoperato da uno per una parte del corpo finisse ad essere utilizzato da un altro per una zona meno nobile e viceversa. La conseguente lamentela di colui che doveva subire il viceversa: “Come, la mia faccia dopo il suo bilino?”, trovava l'immancabile risposta di cui sopra.

Quei due sono come Fede e Berlusconi: al posto di “culo e camicia”.

Quel socché: al posto di “quel non so ché” o di “quella cosa”.

Quella roba corta!: quando un neonato è bello e cicciottello arriva l’urlo di gioia e l’immancabile frase: “quella roba corta!”.

Quelle puttane: frase ingiuriosa con cui la Maria si riferisce alle zanzare tigre, dette anche "le tigri".

Quirino si mette in movimento: frase riferita a situazioni erotizzanti che possono provocare la sovreccitazione di soggetti maschili particolarmente suggestionabili. Trae origine dalle confidenze di un’affezionata collaboratrice familiare della Maria, ignara di condividere le esternazioni sulle pulsioni del marito con tutta la famiglia Donati.

Sei un microbo: frase rivolta ad un figlio che si atteggia a mostrarsi più grande della sua età. “Michele, dove vuoi andare con quella pettinatura! Sei un microbo”.

Sembra Vignaroz: riferito a ristoranti nei quali le portate si susseguono a ritmo incalzante, adottato anche nei ritrovi di famiglia e, in genere, nelle situazioni in cui si è costretti a svolgere un’attività in modo immotivatamente affrettato. Ha origine dal viaggio di nozze della Maria, quando arrivata col suo Aulo, in grave ritardo, al ristorante di Vinaròz in Spagna, fu servita con celerità incalzante allo stesso modo delle comiche della tv.

Sembri caccia agli errori: frase rivolta ad un familiare nel cui abbigliamento si riscontrino incongruenze asimmetriche.

Sembri Napoleone che entra nelle città conquistate: rivolto ad un familiare che si presenta con i capelli in disordine. Probabilmente riferito ad una immagine del grande corso nella quale la Maria e la Lalla riscontravano qualcosa fuori posto. “Pettinati Palìn, che devi andare a scuola, Sembri Napoleone che entra nelle città conquistate”.

Sembri Pillincino e Ciriacheto: rivolto ad un familiare che indossa abiti di taglia vistosamente inferiore alla propria. Da indagini approfondite si evince che i soggetti citati fossero una coppia di compagni che si notavano spesso nel quartiere, proprio per il loro abbigliamento insufficiente a coprire le estremità.

Sembri quello che ha dato uno schiaffo al Signore: frase riferita a un individuo con espressione sconvolta e abbruttita, preferibilmente spettinato o col berretto sulle 23.

Sembri i morti del mar d’Azov: chi sta in posizione eretta, ma assonnata e imbambolata. Riferimento ad una immagine rimastale impressa di marinai morti sulla tolda di una nave o di un sommergibile, tenuti in piedi con delle corde (forse perché si credessero vivi in tempo di guerra).

Smetti di fare quella zingola zangola!: invito perentorio rivolto a coloro che dondolano avanti e indietro con la sedia rischiando di cadere. Variante: “Ti sei fatto male? Mi dispiace, ma l’avevo detto che saresti caduto a forza di fare quella zingola zangola!”.

Sono empio: sono pieno. Non pensate che sia ignoranza, lei ci gioca con l’italiano, si diverte ad aggredirlo, è una malattia contagiosa…

Te lo faccio tondo: ti aiuto a risolvere un problema contingente. Abitando a due passi dalla storica gelateria Marselli, la famiglia Donati ne era un’abituale frequentatrice (nei limiti consentiti negli anni ‘60: solo d’estate e di domenica). I gelati però sono alimenti capricciosi e, in particolare per i piccoli, i coni sono pieni di insidie e trabocchetti, laddove la parte fredda si trovi in posizione esterna rispetto alla circonferenza della parte calda (base del cono, vista dall’alto). Ne conseguiva che gran parte del delizioso dessert colava copioso sul marciapiede di via Tripoli, a metà strada fra Taddei dei piatti e Giannina la parrucchiera. Ecco allora, provvidenziale, l’intervento materno: “Dammi un po’ quel gelato che te lo faccio tondo”. In pochi secondi tutta la parte esposta alla forza di gravità veniva rimossa con perizia e per il fortunato figlioletto il calo dovuto all’intervento di lifting appariva come una predilezione speciale nei suoi confronti che così poteva presentarsi al mondo con un cono tutto ordinato e con la camiciola domenicale ancora intonsa.

Ti ammazzo prima: minaccia rivolta ad un figlio macchiatosi di una mancanza, anche lieve. “Se ti vedo ancora litigare con tuo fratello ti ammazzo prima” (probabilmente ‘prima’ di arrivare all’età adulta).

Ti mando al collegio Belluzzi di S.Marino: minaccia rivolta ad un  figlio macchiatosi di una mancanza grave, se non gravissima. “Se ti vedo ancora accendere un fuoco nello studio con le scatole del detersivo, ti mando al collegio Belluzzi di San Marino”. Rispetto alla minaccia precedente assume toni più realistici quindi decisamente più inquietanti. Ogni figlio della Maria non ha mai voluto approfondire l’argomento, anche se, in età adulta, è emerso il dubbio che l’esistenza di questo temuto luogo di pena possa essere stato un parto della fantasia della madre. In realtà all’atto della pubblicazione di queste note, sono giunte al redattore diverse segnalazioni comprovanti che tale istituzione educativa era in realtà una delle più prestigiose dell’antica Repubblica ed era ospitata a Palazzo Begni, oggi sede della Segreteria di Stato.

Un per chèsa, la geva  la Canucina: non è dato sapere chi fosse tale Canucina (Canocchietta, ndt), donna evidentemente dotata di una buona dose di saggezza, che si forse augurava che in ciascun nucleo famigliare non vi fosse più di un soggetto problematico o, a seconda dell’intonazione data all’espressione, si rassegnava ricordando che ogni famiglia ha la sua  croce da portare.

 
Personaggi e Fornitori
   

Angelo Zambianchi: Soprannome di Angelo Branduardi. L’uso dei nomi volutamente modificati, con un criterio imprevedibile e mai capito dagli osservatori è una caratteristica della Maria, la quale riserva questo trattamento a diversi soggetti. Una analisi attenta del fenomeno può far pensare che i destinatari siano soggetti che in qualche modo sono stati subiti dalla Maria e non ancora digeriti e amati da lei. Il politico italiano Matteo Renzi, nella fase di sospetto, è stato trasformato in Ricci. Il caro amico dei figli, Enzo Piccinini, rimpianto medico modenese, abituale frequentatore di casa Donati, venne ribattezzato Piccinino, probabilmente a causa della sua spiccata personalità digerita con difficoltà dalla padrona di casa. Il fatto che il soprannome sia passato presto in disuso dopo un’approfondita conoscenza e l’insorgere di un profondo affetto verso di lui, porterebbe a dimostrare quanto ipotizzato.

Il maestro Tarana: come la Maria chiamava il suo vicino di casa, il quale garbatamente, quanto inutilmente, le ricordava: “Maria, ci chiamiamo Tarani!”. 

Il mio moroso: tale Lionello, uno dei commessi di un negozio di macelleria. Pare che questo gentile signore fosse incline a mostrare una pazienza da certosino alle innumerevoli e più disparate richieste della suddetta. Tipicamente: “Michele, vai dal mio moroso e prendimi un chilo di fettine. Mi raccomando fatti servire proprio da lui che gli altri sono dei labaziri”

la Befanina: soprannome assegnato alla proprietaria della bottega di alimentari sotto casa a seguito della sua scarsa avvenenza. Nomignolo noto a tutti tranne che all'interessata fino al giorno in cui Gabriele (Pussi), all’imperioso invito: “Vai dalla Befanina a prendere due etti di salame”, in un attimo di incertezza pensò bene di assicurarsi dell’identità della suddetta, chiedendole espressamente: “È lei la signora Befanina?”.

La Maria di Manzi: collaboratrice familiare dei vicini di casa ribattezzata anche per distinguerla da se stessa.

La ragazza dal sorriso sinistro: amica dei figli. Questo appellativo è esemplare per capire tutto il dizionario della Maria: per dirla alla Mike Bongiorno, è la prima impressione quella che conta. Questa ragazza, capitata in casa un giorno nel quale, forse, aveva poca voglia di ridere si è trovata intrappolata per sempre in questo scafandro di piombo. Non c’è appello!

la signora Gatto: soprannome assegnato a una venditrice di formaggi del mercato coperto dotata di due grandi occhi verdi incastonati in un faccione roseo, paffuto e un tantino baffuto. Nomignolo noto a tutti tranne che all'interessata fino al giorno in cui Gabriele (Pussi), all’imperioso invito: “Vai dalla signora Gatto a prendere lo squaquerone”, in un attimo di incertezza pensò bene di assicurarsi dell’identità della suddetta, chiedendole espressamente: “È lei la signora Gatto?”.

il Maiale: contrazione dell'espressione "il negozio in cui si vende la carne di maiale". Per motivi assolutamente legati alla Divina Provvidenza, nessun figlio della Maria si è mai posto il problema di assicurarsi l’identità con scomode domande.

La signora Piparoncini. Una vicina di casa, insegnando alla Maria una ricetta per conservare i peperoncini, si concesse l’utilizzo improprio, quanto improvvido, di una distorsione dialettale. È stata fatta.

La signorina del cagnolino. Definizione utilizzata per una vicina di casa, che non brillava per la sua avvenenza, abituata a passeggiare in perenne compagnia del piccolo cagnolino. Fra i figli della Maria era solito attribuirsi vicendevolmente una tresca amorosa con la suddetta; nelle confidenze tutte maschili, al buio delle camere da letto, uno dei quiz preferiti era: “preferisci la signorina del cagnolino o il cagnolino della signorina?”. Ai posteri l’ardua sentenza.

La zoccola: (a onor del vero definizione importata, ma volentieri adottata) riservata ad una signora che si sospettava più attaccata ai soldi che al cuore del proprio amante.

Mezzabotta: indicatore generico di bassa qualità. Pare che fosse il soprannome di un fotografo, poco considerato sul lavoro e, visto il nomignolo, anche in altri campi. Usato poi anche per definire le prime cabine fotografiche uscite negli anni ’70 che emettevano fotografie in poco tempo, ma con scarsa qualità. “Palìn, vai a farti una foto da Mezzabotta, che serve per la scuola”. Nel tempo il termine è entrato nel gergo per indicare un fornitore di prodotti di  basso costo e di qualità analoga (“non costa niente, l’ho preso da Mezzabotta”), il cui acquisto e conseguente imposizione all’uso, a fronte delle proteste del malcapitato cui era destinato, produceva come inevitabile conseguenza il pronunciamento della frase di cui sopra: “X, stai zitto/a, è il non plus ultra dell’eleganza”.

Nemo e la Dina: non hanno avuto bisogno di soprannomi.

Padre Secchi: mancano informazioni sulla vera identità di tale sacerdote. L’unica certezza è che fosse di una magrezza imbarazzante, probabilmente dovuta ai lunghi digiuni ai quali si sottometteva per spirito di sacrificio o forse per indigenza. “Paolino, sei dimagrito, mi sembri Padre Secchi! Dai vieni a mangiare da me domenica che vado dal Maiale e ti faccio due fiorentine.”

Perché vostro marito è andato in Egitto?: ebbene sì, tutta una frase per descrivere il piccolo vicino di casa, che rivolgendosi educatamente col “voi”, le girava dolcemente il coltello nella piaga sottolineandole la sua condizione di donna poco amante dei viaggi, sposata con un uomo che, invece, li adorava. Per vendetta il vicino è stato ribattezzato.

Quello che fa la crema con un uovo solo. Non ci sarebbe niente di male a farsi un bella crema espressa nel tegamino usando un solo uovo, ma capite quanto sia inconcepibile in una casa di nove persone. Questo appellativo è stato affibbiato dalla Maria ad un amico dei figli noto per uno spiccato senso dell'economia, soccorrendo così la propria difficoltà a tenere in mente tutti i nomi di questi ragazzi che le giravano per casa: "Davide, come si chiama già quello che fa la crema con un uovo solo?". 

 
Frasi famose e adottate
 

"Il Signore con una mano abbatte e con l'altra sospinge": frase attribuita a un'amica di famiglia che indica uno sguardo positivo sul reale, tipico delle persone di fede. La versione corretta dovrebbe essere “con l’altra solleva” in quanto la spinta, in teoria, potrebbe abbattere per una seconda volta, ma qui si deve riportare secondo rigorosa trascrizione.

"La spuda s'un sass viv": attribuita alla mamma Titti. Persona dai modi esageratamente affettati che ostenta raffinatezza (dotata normalmente di bocca a culo di gallina).

Al polsi aglià la tòsa e i bdocc’ e frisò”: (le pulci hanno la tosse e i pidocchi il raffreddore). Attribuita alla mamma Titti. Alla domanda: “Maria a chi si rivolge?”, ecco la risposta: “persona schizzinosa e antipatichizza che si dà le arie”.

Allora aspetto!”: Indica un inequivocabile atteggiamento di autolesionismo. Ha origine da una leggenda metropolitana inventata da Davide il giorno (unico pare) in cui la Grazia venne incaricata di andare comprare le paste (gesto mai estirpato della tradizione domenicale riminese). Ore 12. “Grazia vai a comperare un gabaré di paste”. Ore 13. Arrivo della Grazia trafelata, carico del gabaré in frigo ed inizio pranzo (stile Vignaroz). Ore 14. “Grazia vai a prendere il gabaré nel frigo”. Ore 14:01. “Che schifo! Ma dove sei andata? Non avevo mai mangiato paste più rivoltanti”. Ore 14:05. Davide prende la parola. <<Secondo me è andata così: la Grazia è andata in pasticceria e ha chiesto di darle le paste più schifose che avevano. Ne ha sentita una e ha detto, ne avete di peggiori? Alla risposta: sì ma sono pronte fra mezz’ora, la sventurata rispose: “allora aspetto!”>>

Avanti, avanti non vorremo litigare qui sul palco!”: usata per lo stesso scopo di cui sopra, ma quando il discorso prende una piega pericolosa. È l’unica frase pronunciata nella sua carriera di attrice dalla sorella Lalla, dopo 6 mesi di lunghe prove alla filodrammatica parrocchiale.

Basta, basta vedremo, caso mai terremo d'occhio”: usata normalmente per invitare qualcuno a non insistere. Tratta da una delle tante interpretazioni dello zio (Eu)genio.

È spenta”: anche la parentela del marito ha visto una memorabile partecipazione teatrale da parte del cognato Agostino, il quale interpretò nella Bohème il medico che visitava Mimì malata di tisi per constatarne il prematuro decesso. Purtroppo una chiusura altrettanto prematura, quanto malandrina, del sipario, permise all’uditorio di cogliere solo la parte iniziale della già esigua battuta, senza però intaccare affatto l’orgoglio dei parenti, accorsi in massa ad ammirare l’evento operistico.

Benedetta se non ti cavi dai coglioni ti tiro un scataraccio che ti muro un occhio”: invito poco elegante rivolto alla zia Benedetta che cercava di instillare un poco di educazione cristiana nel vicino di casa. La frase è stata tradotto dal vernacolo con questa dicitura: “Eugenia (vero nome della zia della Maria, ndt), se non ti allontani dagli organi preposti alla riproduzione, mi procuro di farti pervenire un miscuglio di muco e saliva, tale da erigere una costruzione muraria in grado di impedirti inopinatamente la vista”.

Binda sta piú bnein”: utilizzata quando qualcuno affronta un argomento che non interessa nessuno. Un vicino di casa della sua infanzia si recava nella casa avita a raccontare notizie di sport che solo lui riteneva importanti, al contrario della Maria, di sua sorella e di sua madre che invece erano assai poco interessate alle sorti del corridore Binda reduce, evidentemente, da un infortunio. La frase viene usata tuttora anche dai figli della Maria, ma tradotta in italiano: “Lo sai che il corridore Alfredo Binda, dopo il grave infortunio patito, ha migliorato notevolmente il suo stato di salute?”.

Burdeli, sa stasì senza fé gnìnt, fasì pò du pugnetti”: tradotto dal vernacolo: “Ragazze se momentaneamente non avete un compito da svolgere, prendete in mano il vostro uncinetto e realizzate in quattro e quattr’otto due presine da utilizzare per sollevare le pentole dal fuoco”. L’invito, nato come istigazione a non poltrire da parte delle suorine verso le proprie allieve orfanelle, fra cui la zia Benedetta, per estensione è stato poi utilizzato dalla Maria per rimuovere tutte le situazioni di stallo rilevate nell’attività della propria prole.

Ci buttassimo dal camion?”: usata come frase di esortazione a prendere l’iniziativa, come per dare l’abbrivio ad un lavoro faticoso. Citazione da un operaio, dipendente del babbo della Maria: “i tedeschi stavano portandoci via, ma è suonato l’allarme, l’autista si è fermato e noi ci buttassimo dal camion”.

Dottore, se andiamo in guerra vincono gli Stati Uniti o la Russia?”: veniva rivolta, sempre da Pietro, al suo medico, dottor Aulo Donati, considerato da Pietro persona autorevole e capace di districarsi negli intrighi della guerra fredda. La richiesta è persistita anche dopo la caduta del muro di Berlino.

E su bà l’è mort d’un azident séc”: riferito ad uno che mangia con voracità. Ha origine dalla storiella che narra di due amici, riuniti a tavola, dopo molti anni, a mangiare in un unico piatto centrale. Mentre il primo descriveva con dovizia di particolari la lunga malattia ed agonia del padre, l’altro mangiava senza profferir verbo; alla domanda: “E tuo padre com’è morto?”, astenendosi un unico istante dal mangiare, rispose: “E mi ba? L’è mort d’un azident sec!”, rituffandosi immediatamente sul piatto.

Gossa che n’gossa”: espressione tipica del vicino di casa, occasionalmente arruolato in qualità di giardiniere, durante i suoi dialoghi con la Maria. Di solito veniva profferita tenendo bene appoggiate entrambe le mani sulla sommità del manico della vanga ritto davanti a sé, alla moda dei contadini in pausa. L’origine è di difficile, se non impossibile identificazione, occorre affidarsi all’intuito della Maria la quale asserisce senza ombra di dubbio che la frase veniva pronunciata al posto di : “insomma, così è la vita” e subito dopo si chiudeva il discorso. Per estensione il personaggio stesso, ha assunto il soprannome dalla sua stessa espressione.

Il buso più piccolo é quello che drovo per imbusare”: indica un capo d’abbigliamento ridotto molto, ma molto male. Commento di un compagno d’infanzia della Maria su un paio di calze impossibili da riparare. Adottata anche da un figlio, di ritorno da un campeggio estivo, al momento di descrivere l'unico paio di mutande utilizzato nei quindici giorni.

L'ha du occ come Bega in te mezz d' e gren": riferito a soggetti con gli occhi sbarrati a mo’ di gufo o civetta. È un’espressione tradizionale romagnola imparata dal cognato Lino; pare che tal signor Biga avesse l’abitudine di bivaccare nei campi di grano allo scopo di sottrarre il prezioso frutto della spiga al raccolto del legittimo proprietario, ma per evitare di essere scoperto si procurava di starsene molto attento a ciò che gli accadeva attorno sgranando gli occhi all’inverosimile.

L'è pu grazios in te su stupid": (traduzione) bisogna ammettere che sia simpatico, pur nella sua semplicioneria.
Dicesi di persona che riesce a strappare un sorriso, nonostante sia considerata scarsamente acuta. "Ieri ho visto la commedia in dialetto dove recitava il nipote della signora Marani. Non l'avrei detto... l'è pu grazios in te su stupid!"

L’ha voja ad franceschi: nel riminese si usa per descrivere uno che “ci sta provando”, ma da quando è avvenuto un certo episodio, per la Maria, ha un po’ cambiato di significato. Le cose sono andate pressappoco così: una signora anziana dalla scarsissima avvenenza si trovava al cimitero a sistemare i fiori presso la tomba di una persona cara, quando fu avvicinata da un coetaneo che le chiese un fiammifero per accendere un lumino. La “malcapitata” lo trattò con molta freddezza e più tardi si confidò con la Maria: “te capì na? L’aveva voja ad franceschi!”. Ora, ogni volta che si parla di una “lei” che attribuisce a un “lui” intenzioni che è ben lungi dall’avere, scatta l’inesorabile commento.

Maestro, è più forte il leone o la tigre?”: utilizzata per rimarcare l’avvenuto utilizzo nel discorso di domande inutili. L’origine, per gentile concessione della famiglia Tarani, è tratta da una dei tanti quesiti che Pietro rivolgeva al suo amico paterno Aldo Tarani, maestro per mestiere e per vocazione.

Ma voi Donati, quanti siete?”: utilizzata quando è evidente che in un luogo si è radunata troppa gente. Espressione coniata da Enzo Spina il quale, cercando di effettuare un inventario dei figli della Maria, concludeva in questo modo il suo vano tentativo.

Me zét, lo zét”: (io zitto, lui zitto) quando nel discorso non si tocca un argomento tabù. Trae origine da una barzelletta raccontata da Pussi, un po’ spinta e quindi non pubblicabile

Non sarà tutta mia la colpa!”: utilizzata quando a richiesta di intervenire, nessuno si prende le sue responsabilità. Trae origine da un episodio realmente accaduto durante un matrimonio svolto alla chiesa dell’Alba a Riccione. Premesso che la sposa si presentava visibilmente in stato interessante, il compianto parroco don Alberto, si accorse che ogni volta che chiamava un’esortazione la chiesa rimaneva muta. “Il Signore sia con voi…”, nessuno rispondeva, “E con il tuo spirito”, concludeva sconsolato il celebrante”. Finché giunti al confiteor, arrivò ancora tutto solo al “mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa”… uno sguardo birichino gli cadde sulla protuberanza della sposa, interruppe un attimo la prece, alzò gli occhi verso i fedeli e pronunciò la famosa frase: “Non sarà tutta mia la colpa!”.

Non crede neanche nel pancotto”: ateo impenitente. Dal romanesco: “Nun créde manco ar pancotto”. Il pancotto consiste in una zuppa di pane bollito e condito con olio e, un tempo, era ritenuta un toccasana. Non giudicarla efficace era da miscredenti. In casa Donati il pancotto era una cura utilizzata in modo esagerato, forse più per praticità che per necessità. “Siamo tutti appesantiti, cosa dite se stasera ci facciamo un bel pancotto?”, solo il raccontarlo ci fa rabbrividire ancora e, chissà perché, ci spinge un po’ verso l’ateismo.

Pataca!”: appellativo rivolto da Aulo, all’indirizzo di uno dei figli a scelta, con il chiaro intento di mostrargli tutta la propria disapprovazione per il gesto appena compiuto.

Per Pussi, non mangiare questi panini”: usata da tempo immemore per indicare l’ambiguità dell’italica favella. Trattasi di una frase vergata da Michele, con pennarello indelebile su un foglio A4 e unita con spillatrice ad un sacchetto pieno di deliziosi panini, riposto nel frigorifero di casa, con l’evidente intenzione di proteggere il proprio pranzo della gita del giorno dopo. A mezzanotte in punto, di ritorno a casa, il lupo affamato (Gabriele alias Pussi) apre il frigo, legge la scritta, riconosce la calligrafia e pensa: “Che carino Michele, ha lasciato questi bei panini proprio per me, chissà come ha fatto ad immaginare che avrei avuto tanta fame!”. Per l’iper razionalista Michele, la mattina dopo, il doppio scorno di restare a digiuno e di dover dar ragione al fratello! Alla gita successiva pare che la frase si sia chiarita: “Caro Pussi, questi panini sono per me e non per te, se li tocchi t’ammazzo!”, poco elegante ma senza equivoci.

Quel signore che voleva le carote, le ho portate”: parla in italiano per piacere. Entrata nel discorrere abituale dopo che la Daniela e Daniele, al Camping Tiber delle Balze, furono svegliati al mattino dall’altoparlante di un verduraio che dopo aver annunciato l’elenco della sua mercanzia, dopo una breve pausa, concluse con questo annuncio ad personam.

"Ronchi, ta n'è una chesa?": utilizzato quando un ospite si attarda senza mostrare la minima intenzione di rientrare in famiglia. Ha origine da un frizzo, entrato nella storia, dove una mamma romagnola (interpretata da Giancarlo Pirroni), stufa di avere sempre fra i piedi l'amico (Valterino Ronchi) del figlio, per fargli capire che doveva togliersi dai piedi, contava di cavarsela ricordandogli la sua appartenenza ad altro nucleo familiare.

Scema stupida, stupida scema”: (profferito in modo andante e ritmico) è l’inizio del discorso con il quale la sorella Lalla si rivolge alla Maria ogniqualvolta accada che non si trovi d’accordo con le scelte quotidiane operate dalla stessa. Va detto che tale ritornello non intacca minimamente l’indole scanzonata della Maria che lo considera al pari di un saluto amichevole.

Sono ignobili, li ho fatti per Michele”: riferita a cibi poco appetitosi. L’origine sta in un episodio accaduto in una delle numerose convention domenicali di casa Donati. Michele era in uno dei suoi periodi di dieta ferrea (sic!), mentre in cucina si cucinavano cose deliziose, la Maria si presentò in sala con un piatto di spaghetti conditi con un’ombra appena accennata di sugo. “Michelino, senti come sono buoni, li ho fatti per te, dai mangiali subito!”. Intimorito dal piatto assai poco appetitoso, Michele se ne stava pensieroso accarezzando l’idea di rimandare la dieta al lunedì successivo quando piombava in sala affamato il fratello Paolo, in ritardo a causa del protrarsi della messa di mezzogiorno. Vide il piatto sul tavolo e si gettò per avvitare una forchettata quando l’urlo della Maria lo assalì imperioso: “Cosa fai?  Non mangiarli! Sono ignobili, li ho fatti per Michele!”. Dopo una pausa imbarazzata di silenzio nella quale lo sguardo di tutti i presenti si rivolse commiserante al disgraziato destinatario del manicaretto, si capì che era stata scritta un’altra gloriosa pagina della storia impareggiabile della Maria Donati.

Sparecchiamo”: utilizzato ogni volta che un gesto di basso profilo produce, con effetto domino, un esito clamoroso, al pari di una parola gettata nel mezzo del discorso che fa risorgere fantasmi del passato. Ha origine da un movimento maldestro di Michele, che giunto a fine pasto pensò bene di alzare il piatto di portata verso l’alto allo scopo di portarlo in cucina, accompagnato dallo “sparecchiamo” rivolto agli altri commensali. La troppa energia immessa nel movimento procurò l’urto del lampadario e conseguente rottura di alcuni componenti dello stesso, conditi da un “Pataca!” liberatorio finale.

Suora, saranno molte?”: hai visto che bel regalo? I fatti sono andati pressappoco così. Il signor Franco, come ogni anno si apprestava a fare un’offerta alla scuola del figlio gestita da una congregazione di religiose; per far pesare al medesimo il proprio impegno nel garantirgli una buona educazione gli mostrò le banconote pronte ad essere versate come obolo. Il piccolo scolaro, assai svelto di mente, ma anche di lingua, appena assistito alla transazione si premurò di sottolineare alla propria insegnante l’entità della cifra.

Viva la Francia: nomignolo attribuito ai bimbi dotati di grande appetito. Attualmente (2014) ne è titolare la nipote Maddalena. Tratto dal detto romagnolo: viva la Franza, viva la Spagna, basta ch’a magna?”.

Vaffanculo Momo”: usata verso chi cerca di intromettersi nella propria sfera privata. La frase pronunciata ad alta voce in una chiesa piena di gente, risale al tempo in cui i fedeli erano avvezzi ad improvvisare dal proprio posto la preghiera durante la santa messa. Quando Enzo Spina, non riuscendo a terminare la propria supplica, venne spronato e incalzato dal suo vicino, futuro avvocato, Massimo Pasquinelli, sbottò con un proditorio: “Vaffanculo Momo”. Il tono ingiurioso venne riconosciuto solo dai fedeli più prossimi, tant’è che l’assemblea intera, non distinguendo l’imprecazione dalla supplica, non fece mancare la puntuale risposta corale: “Ascoltaci, o Signore!”.