daniele dei leoni
(parole di Bruno Sacchini, musica di Daniele Donati, set 1994)

Figlio del destino e di un controllore
che all'alba di un mattino trovò in un vagone,
il frutto abbandonato del solito peccato
di chi cerca l'amore senza essere riamato.
Come sa essere padre e anche madre Dio,
così mi fu ben padre chi, credendo in Dio,
volle chiamarmi come Daniele dei leoni
sperando sol col nome salvarmi dai demoni.
Demoni che - diceva - riempion questo mondo,
ma l'altro è per chi spera lottando fino in fondo
amando chi non ama, amando chi ascoltava
come ascoltavo io, ma non credevo in Dio.

E mentre che invecchiando il padre trascinava
la vita controllando il foglio a chi viaggiava,
la pietra del futuro, in odio a Pasolini,
noi gettavamo in faccia, in faccia ai questurini.
Io cieco, io disperato, io che sparavo in bocca,
io stolto, io sradicato, io... sotto a chi tocca:
toccava a tutti quanti quell'anno, il sessantotto,
toccava anche i rimpianti d'un mondo che s'È rotto.
Un mondo che si è rotto è mondo che mio padre
credeva ancora intatto, che si potesse amare;
amare, fare il bene, lottare coi leoni,
salire sulla croce di Cristo tra i ladroni.

E vennero i ladroni, vennero all'assalto
di quel vecchio vagone, mia culla appena nato,
dove mio padre andava un giorno a barattare
il sangue con la vita passata senza odiare.
A che servisse odiare lo vidi quella notte,
quando sopra i binari lo vennero a portare,
nel bianco dei fanali, il viso ricoperto,
padre col solo torto di aver voluto amare.

Ora che del futuro la pietra s'è spaccata,
ora che il vecchio muro la vita ha generato,
ora che i Faraoni dentro l'anima mia
hanno perduto i troni dell'ideologia,

ora che Daniele, Daniele dei leoni,
ha ritrovato il miele che placa i suoi demoni,
ora Daniele vive, pietra d'inciampo e amore,
ritto lungo le rive del fiume del Signore.