ALCHIMIAalchimia

Ah, credetti che l'athanor si fosse ingigantito a dismisura fino ad atterrirmi. Alla luce della fiamma mi accorsi che le ampolle erano tante più di quante immaginassi, e gli alambicchi balenavano verdi come le mie mani sulle mensole in alto. Indietreggiando, inciampai sui gradini e come ci si sveglia da un lungo sogno caddi sbattendo la faccia contro la grande libreria di quercia. Due libri, di quelli che i miei occhi stanchi avevano da tempo rinunciato a decifrare, mi caddero davanti mentre il dolore mi singhiozzava gli arti: erano l'Opus Chirurgicum di Paracelso e la Naturalis Historia di Plinio. Cosciente che rimaneva poco gas nel cannello e l'oscurità era prossima a venire, cercai a frenetici tastoni la candela, non la trovai. Niente in realtà mi lasciava credere che l'avrei trovata e già il fuoco si estingueva, già l'athanor riempiva tre quarti della stanza e a me restava poco tempo, anche se lì per lì è una frase che nessuno può dire. Com'era ipocrita pregare e ci provai eccome, ma dal vortice dei pensieri se ne staccava sempre uno che andava a inquinare il filo di bestemmie, finchè mi convinsi di non aver mai conosciuto nessuna litania. Ranicchiato sull'urlo della ferita e della sostanza escrementizia cosa resta, mi chiesi, e una voce -veniva da me, dai libri, veniva dall'athanor proiettato oltre il soffitto verso Alpha Centauri?- rispose: la Pietra. Pietra liscia e irragionevole, pietra quieta e terribile, per te fu l'inconcepibile salmodiare che a lungo ululai. Quando aprii gli occhi non li avevo mai chiusi. La stanza era quella di sempre, il freddo la rendeva inospitale. Gocciolava il naso sulle poche cose che raccolsi e che appoggiai sul tavolo lasciando il resto vinto dal disordine, andai a dormire di un sonno pesante. L'athanor continuò a borbottare nel suo angolo, e si spense solo a tarda notte.

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